Io odio le persone invadenti.
Odio le loro manine lunghe e viscide che si sporgono ad acchiappare le cose che non li riguardano, odio i loro nasi appuntiti che spingono impercettibilmente verso l’alto ad indicare che loro sentono tutti gli odori che li circondano, odio i loro occhi scrutatori e rotondi quasi suini che ti studiano, da testa a piedi, in tutti i particolari e ti fanno sentire come fossi nuda in mezzo a piazza tienanmen.
Detesto le loro voci gutturali che, quasi come fossero contrabbassi suonati male, tuonano sentenze sul conto della gente che conoscono e vedono, enfatizzando in maniera grottesca i dettagli imbarazzanti al punto tale che nell’ascoltarli, a volte, mi sembra che le orecchie siano sul punto di sanguinare per la rabbia.
Non sopporto le loro testoline rotonde da tartarughe marine che sporgono con maestria e dovizia un po’ più in qua e un po’ più in là, ogni volta che tentano di ascoltare conversazioni, racconti e avvenimenti che non li riguardano, e si sforzano così tanto che a volte finiscono persino per provare della sofferenza fisica, pur di sapere.
Li vedi abbarbicati sui cigli, coi colli allungati, ad annaspare in inutili acque di non loro proprietà che fingono di affancendarsi per coprire i loro insani gesti di invadenza, quasi a nascondere la leggera vergogna che provano agli occhi della società che li trova irrispettosi e subdoli.
E loro questo lo sanno bene.
Gli invadenti in tasca hanno una schiera di timbri di legno, quelli un po’ pesanti con l’impugnatura ergonomica che usi alle elementari per fare le decorazioni degli animali e, quant’èvverroiddio, sono pronti ad usarli contro chiunque.
Infatti, quando incontri in un corridoio stretto uno di quei brutti ceffi, devi stare molto, ma molto attento.
Innanzitutto si sente partire dal fondo, di default, la musica dei film di Sergio Leone preludio della sfida “tatata ta ta ta” e già da lì capisci che non andrai incontro a niente di buono, e poi la gara vera a propria, devi essere abile a schivare i timbri che dall’altro lato arrivano alla velocità della luce, copiosi e feroci, lame taglienti dell’autostima e del sistema nervoso.
Gli invadenti ti marchiano, giudicandoti volta per volta con spietata efferatezza, salgono sul piedistallo e sparano con furia cieca, sanno tutto loro, non ascolto, depositari del bene e del male, affondano nei tuoi punti deboli, a suon di “devi fare così, devi guardarmi quando ti parlo, devi ascoltarmi e rispondermi a dovere”.
Stamattina ho fatto la lotta con una di loro ed è stato, credetemi, terribile.
Per quanto cercassi di perseguire la via ghandiana della non violenza, non riuscivo a salvarmi, le sue parole mi schiacciavano, i suoi pregiudizi e la sua ignoranza mi colpivano come pugni allo stomaco, e mi rompevano la mascella, mi bloccavano la voce.
Ad un certo punto il lampo di genio.
Ho pensato che qualsiasi cosa avessi detto, mi si sarebbe ritorta contro (contando che le prime dieci opzioni sarebbero state bestemmie) e allora ho pensato “aspetta aspetta, vuoi vedere che se cerco in fondo alle tasche trovo anche io un timbro?
Allora ho frugato, sulle prime non ho trovato nulla anche perché cercavo nervosamente, avevo le mani sudate e la testa in ebollizione, poi ho tastato bene, l’ho riconosciuto, l’ho estratto e gliel’ho tirato, con foga, quasi senza pensarci.
Dopo lo stupore e lo stordimento, colavano dalla sua faccia rivoli di inchiostro blu e una scritta campeggiava sulla sua fronte.
“Sei una maestrina dalla penna rossa”
E il suo sguardo attonito e stupito, addolorato e incredulo, insieme alla sua bocca imbronciata, mi hanno ripagato di tutto.